Luglio 2025
Il quinto approfondimento degli Speciali TFI vede la collaborazione di onLive Campus, evento di Fondazione Piemonte dal Vivo che mette insieme comparto artistico, istituzioni, policy maker, aziende e mondo accademico per indagare la relazione tra spettacolo dal vivo e nuove tecnologie. Sempre più fluido e ibrido, onLive – con la direzione scientifica di Simone Arcagni – trova in TFI Torino Film Industry la sua naturale collocazione.
Focus di oggi è il cortometraggio di videodanza “Landed”. Frutto della collaborazione tra le artiste Marlene Millar, regista canadese, e Sandy Silva, coreografa statunitense, è il nono film del Migration Dance Film Project, un ciclo di pluripremiati dance film dedicato al tema delle migrazioni, attraverso il movimento, il ritmo e il canto. Prodotto in collaborazione con Associazione COORPI (Torino) e Augenblick (Genova), interamente ambientato e realizzato nei territori liguri e piemontesi, tra Genova e Torino, con il supporto logistico di Film Commission Torino Piemonte.
Il connubio tra cinema e danza esiste sin dalla nascita delle immagini in movimento, poiché individua naturalmente nel movimento stesso l’oggetto principe della ripresa. Screendance è il termine contemporaneo comunemente utilizzato per indicare la creazione di danza attraverso l’uso della videocamera, in qualità di linguaggio espressivo autonomo. La screendance volutamente combina il movimento sullo schermo con il movimento della videocamera e il movimento creato attraverso il processo di montaggio.
In occasione della proiezione in prima regionale di “Landed”, sabato 5 luglio alla Reggia di Venaria, nell’ambito del cartellone “Sere d’Estate”, realizzato in collaborazione con la Fondazione Piemonte dal Vivo, ospitiamo oggi un’intervista alla regista Marlene Millar e alla coreografa Sandy Silva.
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Potreste raccontarci brevemente del Migration Dance Film Project: come è nato, come si è sviluppato nel tempo e, più in generale, del vostro approccio al linguaggio ibrido del film di danza?
Il Migration Dance Film Project (MDFP) è iniziato nel 2015, quando Marlene e Sandy hanno unito per la prima volta le proprie pratiche artistiche. Sandy ha radunato artisti e cittadini per camminare insieme riflettendo sul lutto legato alla perdita dei genitori, dando origine a una coreografia che ha portato alla realizzazione di Lay Me Low, un cortometraggio diretto da Marlene. Da lì si è consolidata la nostra collaborazione, che si è evoluta in una serie di film di danza modellati sul tema universale della migrazione, tratti dall’esperienza vissuta e dalla memoria, sia personale che collettiva. Il nostro linguaggio artistico, fatto di movimento, ritmo e voce, è nato dalla fusione tra vocalizzazioni sillabiche, frasi melodiche e coreografie gestuali, evocando l’essenza del rituale, della riflessione e dell’appartenenza. MDFP continua a esplorare il modo in cui la danza percussiva e le tradizioni vocali possano essere create e reimmaginate attraverso lo sguardo sensoriale del cinema, al fine di raccontare storie di trasformazione.
Il linguaggio ibrido di danza e cinema è per sua natura interdipendente. In quanto regista e coreografa che lavorano in stretta collaborazione, sviluppiamo entrambi gli elementi—movimento e immagine—quasi simultaneamente, permettendo che l’uno informi e plasmi l’altro. C’è un dialogo costante tra la coreografia e le scelte cinematografiche: come si muove la camera, come viene inquadrata una scena, come il tempo viene dilatato o compresso nel montaggio. Questi processi creativi convergono in modo organico, guidandoci verso un punto di fusione in cui le due forme diventano inseparabili. In questo senso, il film finale incarna un vero intreccio di forme: il linguaggio corporeo di Sandy e la prospettiva narrativa di Marlene si danno forma a vicenda, modellando l’esperienza emotiva e spaziale dell’opera verso un’espressione cinematografica omogenea.
In che modo “Landed” si inserisce nel percorso del Migration Dance Film Project? Potreste raccontarci come questo nuovo capitolo si collega ai precedenti e quali temi o nuove esplorazioni creative avete eventualmente introdotto?
“Landed” rappresenta al tempo stesso una continuazione e un’evoluzione del Migration Dance Film Project. Si basa su oltre un decennio di collaborazione e si sviluppa a partire dal sapere creativo e relazionale maturato attraverso otto film precedenti. Ogni progetto ha aperto la strada al successivo, formando un percorso continuo, modellato dal movimento, dal luogo e dalla comunità. In “Landed”, questo percorso si approfondisce grazie a una collaborazione duratura con artisti e comunità locali. Nell’arco di tre anni, abbiamo creato insieme—sul posto, nei laboratori e a distanza—lasciando che fiducia, dialogo e significato condiviso guidassero il processo. La coreografia, la musica e lo stile visivo del film sono emersi in risposta alle qualità uniche dei partecipanti e dei paesaggi coinvolti. Le location, scelte per la loro storia stratificata, sono diventate elementi vitali della narrazione: spazi in cui movimento, memoria e trasformazione si incontrano. Inquadrati con intenzione e attraversati dai performer, riflettono i temi del film: sradicamento, resilienza e approdo. Con “Landed”, il nostro linguaggio visivo e coreografico continua a crescere, plasmato dalla collaborazione, dai luoghi e dalla convinzione che ogni progetto apra un nuovo spiraglio a ciò che verrà.
Che impatto ha avuto l’esperienza italiana, a Torino e Genova, sul processo creativo? Il progetto ha incluso un vero e proprio atelier creativo triennale in loco, condiviso con le comunità locali di artisti e residenti attraverso laboratori, incontri e riprese in luoghi simbolici. In che modo il contesto italiano ha influenzato la forma e l’essenza di “Landed”?
“Landed” si è sviluppato nell’arco di tre anni come un processo creativo profondamente immersivo e radicato nei luoghi. Attraverso laboratori, incontri e riprese in location simboliche e cariche di significato, abbiamo coltivato relazioni autentiche con artisti e residenti locali sia a Genova che a Torino. Questo coinvolgimento prolungato non è stato marginale: è stato invece centrale nel dare forma sia alla struttura che all’essenza del film. Le nostre organizzazioni partner, COORPI e Augenblick, sono state fondamentali nel creare le condizioni per questo processo co-creativo. Hanno curato la selezione degli artisti e della troupe e gestito con attenzione e sensibilità la complessità logistica del progetto. La loro profonda sintonia con i nostri valori artistici e relazionali ha permesso che si instaurassero fiducia, apertura e un autentico scambio umano e creativo. La fraseologia coreografica, i motivi vocali e l’approccio cinematografico sono nati in risposta alle qualità specifiche del territorio e dei partecipanti: la loro presenza, le loro idee, le esperienze di vita. Il processo creativo si è svolto in tempo reale, adattandosi in modo fluido all’energia e alle scoperte emerse da ogni incontro. La scelta delle location ha svolto un ruolo narrativo fondamentale. Attraverso l’occhio della regista, gli spazi si sono rivelati come geografie stratificate di movimento e trasformazione: tracce del passato rielaborate nel presente. I paesaggi non sono stati semplici sfondi, ma veri e propri personaggi: il modo in cui i performer li hanno attraversati, abitati, esplorati, ha approfondito la riflessione del film sul viaggio, lo sradicamento e l’approdo, attraversando ambienti urbani, naturali e post-industriali.
Lavorare con una straordinaria troupe italiana, guidata dal direttore della fotografia Marzio Mirabella, ha permesso di radicare il linguaggio visivo in ciascun contesto. Muoversi nel tessuto urbano antico di Genova è stato al contempo una sfida e un’ispirazione, seguendo i performer mentre risalivano dal porto attraverso vicoli incisi dalla storia. In contrasto, la sequenza finale – girata al Parco Dora, vasto sito post-industriale di Torino oggi riconvertito in spazio verde pubblico – riflette un passaggio verso la rigenerazione e la speranza. Il luogo stesso, simbolo di rinnovamento ecologico, risuona con il nostro crescente impegno a collegare i film di danza a questioni ambientali e sociali.
Dal punto di vista musicale, il progetto è stato arricchito dal contributo dei compositori italiani Giorgio Li Calzi e Stefano Risso, incontrati per caso al Torino Jazz Festival. Le loro texture sonore hanno aggiunto nuovi livelli alla colonna sonora del film, intrecciandosi con la voce musicale dello storico collaboratore di Montréal, Jean Fréchette. Il risultato è un dialogo musicale ricco e interculturale che sostiene ed espande le sfumature emotive del film.
In definitiva, il contesto italiano non ha semplicemente influenzato “Landed”, ne è diventato parte integrante. I paesaggi, le comunità, i collaboratori: ognuno ha lasciato un’impronta, contribuendo a un’opera che è allo stesso tempo site-specific e, ci auguriamo, di risonanza universale.
In “Landed” emergono temi come la perdita, la speranza, l’appartenenza e la memoria. In che modo questi elementi si riflettono nella relazione tra paesaggio, movimento e suono nel film?
Fin dall’inizio, i segni della perdita, della speranza, dell’appartenenza e della memoria si sono intrecciati in ogni fase della creazione di “Landed”, guidando in modo discreto le nostre scelte e intenzioni artistiche. Questi temi attraversano il cuore del film, dando forma a movimento, suono e paesaggio come a un arazzo vivente. La perdita viene esplorata vocalmente attraverso mormorii sommessi e frammenti melodici portati nel camminare – incarnando una riflessione silenziosa in movimento. I gesti sono stati studiati e sviluppati per custodire la memoria nel corpo – ogni movimento è stratificato di esperienze vissute. La coreografia spesso invita alla contemplazione, con pause, ripetizioni e cambi di direzione che rispecchiano snodi emotivi interiori. I ritmi stessi rispondono intimamente alle texture e pulsazioni specifiche di ciascun paesaggio, e il suono vibra in sintonia con lo “spirito del luogo”. Movimento, suono e ambiente convergono in uno spazio condiviso in cui le memorie individuali e collettive si incontrano, offrendo momenti di appartenenza, resilienza e speranza.
C’è un’immagine o una sequenza che esprime al meglio questa tensione?
All’inizio del film, al porto di Genova, la presenza visiva dell’acqua, le nuvole in movimento e l’orizzonte lontano creano uno sfondo sobrio e contemplativo per l’ensemble di performer-danzatori e musicisti. Sono profondamente radicati nelle sensazioni di perdita e memoria, ma al tempo stesso attraversati da un senso di speranza che inizia a farsi strada. Man mano che i performer si muovono insieme, intraprendendo il loro viaggio attraverso paesaggi variegati – vicoli tortuosi, sentieri scoscesi, terreni montani – ogni ambiente porta con sé strati di memoria e risonanza emotiva. Questo spostamento nello spazio diventa metafora di passaggio e trasformazione. Il film culmina in un potente momento di appartenenza al Parco Dora di Torino, dove performer e membri della comunità si ritrovano insieme. Questa scena finale incarna un luogo di connessione, riflessione e rinnovamento, offrendo una risoluzione visiva ed emotiva alla tensione tra perdita e speranza che attraversa l’intera opera.
L’intreccio tra danza percussiva, canto, musica e narrazione visiva definisce il vostro lavoro pionieristico. Dopo oltre dieci anni di collaborazione e numerosi riconoscimenti, cosa vi ha ispirato a continuare a sperimentare questo formato proprio oggi, in Italia? E quale direzione immaginate per il progetto nei prossimi anni?
Siamo arrivate in Italia con la sensazione profonda che il mondo stesse lentamente risvegliandosi dopo la lunga pausa imposta dal COVID. Abbiamo percepito un desiderio collettivo di riconnessione, e siamo stati accolti con una straordinaria apertura e calore dalle comunità con cui abbiamo lavorato. I laboratori, in particolare, hanno generato esperienze condivise molto forti e un’energia collettiva intensa. È sembrato che il nostro lavoro stesse entrando in una nuova fase, in cui la forma si apriva a nuove narrazioni e nuove voci. “Landed” riflette proprio questa evoluzione. Il film raccoglie e intreccia i molti elementi emersi durante il processo: i linguaggi corporei distinti di ciascun danzatore, le composizioni musicali stratificate di Giorgio Li Calzi, Stefano Risso e Lapsus Lumine, e la presenza evocativa della poesia di Chandra Candiani. Ciascuno di questi elementi ha contribuito a plasmare una forma di narrazione più ricca e porosa, che ha approfondito l’interazione tra suono, corpo, immagine e spazio. Guardando al futuro, restiamo aperte a ciò che il processo ci indicherà. Il nostro impegno è quello di proseguire con cura, mantenendo sempre uno spazio per la profondità artistica, il tempo della riflessione e la possibilità di connessioni significative. Non vediamo il progetto come una conclusione, ma come un’apertura, un invito a collaborazioni future e a nuovi modi di coinvolgere le comunità nel processo creativo.