#10 Speciali TFI | Fantastico cinema italiano! Intervista a Stefano Mutolo

#10 Speciali TFI | Fantastico cinema italiano! Intervista a Stefano Mutolo

Dicembre 2025

“Parliamo di cinema fantastico: genere, horror, fantascienza, fantasy. Parliamo di un mondo che sempre di più esonda dalla nicchia, e anzi dialoga con il cinema d'autore, con il cinema contemporaneo e con il cinema di ricerca – cosa che forse ha sempre fatto”: così introduceva Paolo Manera la mattinata dedicata al cinema fantastico, ospitata a TFI Torino Film Industry 8 sabato 22 novembre 2025.

Divisa in due atti, l'obiettivo dichiarato della giornata era trovare e creare uno spazio dove fosse possibile discutere in prima battuta di contenuti, per interrogarsi su cosa c'è da raccontare e qual è oggi lo stato dell'arte, oltre che di infrastrutture e di attitudine produttiva, in modo da delineare da un lato l'immaginario del fantastico italiano e dell'altro tratteggiare la sua espressione nell'industria.

L'appuntamento è stato organizzato in stretta collaborazione con CNA Cinema & Audiovisivo Piemonte e Derry Social Club – network nato da Stefano Mutolo, fondatore e produttore per Berta Film, con l’obiettivo di creare confronto, progettualità e sinergie tra autori, produttori, professionisti e nuove voci, in modo da raggiungere la necessaria coesione a sostenere la rinascita dell'industry fantastico.

Questo pare essere un momento di convergenza d'intenti tra creatori e istituzioni, che si è tradotto nella presenza sul palco del Circolo dei lettori e delle lettrici di rappresentanti a tutti i livelli: si sono infatti incontrati, per i “talenti”, i registi Martina Girlanda, Eugenio Villani, Maurizio Matteo Merli e Paolo Gep Cucco, con la sceneggiatrice Simona Nobile, per la moderazione dell'autore e sceneggiatore Lucio Besana; a dare voce all'industry sono invece stati chiamati Elettra Canovi per HBO Max Italia, Giorgia Priolo per EDI Effetti Digitali Italiani, gli sceneggiatori Jacopo Del Giudice e Alessandro Regaldo, insieme con Alessia Gasparella e Massimiliano Supporta del TOHorror Fantastic Film Fest; in chiusura degli interventi, dopo aver assisito alla discussione hanno preso anche la parola anche le istituzioni nelle persone di Marina Chiarelli (Assessore Cultura, Pari opportunità e Politiche giovanili Regione Piemonte), Gianluca Curti (Presidente CNA Cinema & Audiovisivo Italia), Mattia Puleo (Presidente CNA Cinema & Audiovisvo Piemonte), Steve Della Casa (Conservatore CSC - Cineteca Nazionale) e l'on. Federico Mollicone (Presidente della Commissione Cultura della Camera), che ha presentato nel corso dell'ultima Mostra Internazionale d'arte cinematografica di Venezia della proposta di Legge di delega al Governo per rafforzare il settore cinematografico e audiovisivo con particolare attenzione all’introduzione di una linea destinata a film di genere.

Per raccogliere i risultati dell'incontro, lo Speciale TFI di questo mese ospita Stefano Mutolo, per un dettaglio sul cinema di genere, su cosa ha significato la presenza a Torino e sul futuro prossimo del sia del “Fantastico Cinema” e, soprattutto, del “Fantastico Cinema Italiano”.

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Partiamo dal principio: di cosa parliamo quando parliamo di cinema di genere?

Quando parliamo di cinema di genere non parliamo di una gabbia, ma di un linguaggio. Il genere è un patto con lo spettatore: horror, thriller, fantascienza, fantasy, crime promettono un’esperienza emotiva precisa, codificata, ma dentro quel patto può entrare di tutto. Autorialità, discorso politico, intimità, sperimentazione. Storicamente il genere è sempre stato il luogo in cui il cinema ha potuto osare di più, perché mascherava il rischio sotto forme riconoscibili. Oggi, più che mai, è uno strumento per raccontare il presente in modo obliquo ma potentissimo.

Come nasce il Derry Social Club? C’è stata una convergenza particolare tra attenzione istituzionale e creazione della rete?

Il Derry Social Club nasce in modo molto concreto e poco teorico: da conversazioni tra professionisti che già lavoravano nel cinema di genere e che sentivano la mancanza di uno spazio comune di confronto. L’esordio a TFI Torino Film Industry con il panel “Fantastico Cinema Italiano” ha dato forma a questa esigenza, trasformandola in una rete attiva, progettuale, non nostalgica. È vero che oggi esiste una rinnovata attenzione istituzionale verso il genere, e questo ha certamente creato un contesto favorevole. Ma il DSC non nasce come risposta a una policy: nasce dal basso, e semmai cerca ora un dialogo maturo con le istituzioni, portando idee, progetti e visione. Ad oggi siamo già oltre 70 membri tra aziende e professionisti.

Quali sono i grandi riferimenti del cinema di genere e dove li ritroviamo oggi?

Nel lavoro preparatorio del panel è emersa una consapevolezza precisa: oggi il cinema di genere è un ecosistema transnazionale, fatto di dialoghi continui tra cinematografie diverse, più che di modelli isolati. Guardiamo molto all’estero non per imitazione, ma perché lì il genere è stato messo sistematicamente a valore.

In Francia, il riferimento è il cosiddetto New French Extremity, che ha dimostrato come il genere possa essere radicale, autoriale e allo stesso tempo sostenuto da un sistema industriale e istituzionale. In area scandinava, l’horror e il thriller hanno trovato una forte identità attraverso l’intreccio con il dramma sociale e psicologico con il Nordic Noir. In Spagna, il genere è diventato un vero motore industriale, capace di produrre film popolari e allo stesso tempo esportabili, soprattutto nel genere horror. Negli Stati Uniti, infine, il genere è da sempre uno spazio di sperimentazione continua, oggi rinnovato da una forte attenzione al discorso politico e identitario, muovendosi tra mainstream, elevated genre e indie.

In Italia, il discorso è stato storicamente più frammentato. Un dato molto chiaro, emerso anche nel panel, è che l’unico territorio di genere ad aver attecchito con continuità è stato quello della serialità crime, che ha saputo costruire un rapporto stabile con il pubblico televisivo e con le piattaforme. Il cinema di genere, invece, ha proceduto per strappi, per film-simbolo.

In foto a sinistra: Lucio Besana. In foto a destra: panelist dal secondo tempo, moderati da Stefano Mutolo (destra)

Il primo vero spartiacque contemporaneo è stato, a mio avviso, “Lo chiamavano Jeeg Robot”, che ha dimostrato che un film di genere italiano poteva insieme conquistare pubblico, box office e critica, arrivando fino ai premi più istituzionali. Non tanto per il supereroe in sé, quanto per l’idea che il genere potesse essere profondamente popolare e profondamente italiano allo stesso tempo.

Da lì in poi si è aperta una stagione sotterranea ma estremamente fertile. Penso al lavoro di Paolo Strippoli, con film come “Piove”, “A classic horror story” (co-diretto con Roberto De Feo) e “La valle dei sorrisi” (selezionato a Venezia, distribuito in Italia da Vision Distribution e all’estero da Shudder), capace di coniugare horror, paesaggio e disagio contemporaneo; i film di genere più mainstream di Vincenzo Alfieri, Matteo Rovere, Donato Carrisi, Andrea di Stefano; quelli più autoriali di Matteo Garrone (“Il racconto dei racconti”, “Pinocchio”, “Dogman”); i film di Ambra Principato, che hanno portato il genere verso una dimensione più intima e perturbante; gli ultimi lavori di Gabriele Mainetti, che continuano a interrogare il rapporto tra spettacolo, identità e pubblico.

Un ruolo fondamentale lo hanno avuto anche gli sceneggiatori, come Lucio Besana e Jacopo Del Giudice, che hanno contribuito a costruire un immaginario di genere contemporaneo credibile, e realtà più radicali come Marco Ristori e Luca Boni, attive su un fronte più underground e indipendente. Accanto a loro, nuove voci come Vera Berniotto e Lea Berniotto, o il percorso di Federico Zampaglione, nelle sue declinazioni più radicali e indie, raccontano un panorama molto più ricco di quanto spesso venga percepito dall’esterno.

Vorrei e dovrei citarne molti altri, ma è solo per dare un’idea. E ricordiamo che dietro questi autori c’è una costellazione di società di produzione, distribuzione (su tutti Plaion con Midnight Factory, specializzata nell’horror), VFX e maestranze di ogni genere. Per non parlare della stampa specializzata che dà voce al cinema di genere, su tutti Nocturno oltre a quelli più generalisti come FilmTv, Cinefacts, Ciak.

Il punto centrale, emerso con forza nel panel, è che esiste una grande parte sommersa: autori, autrici, produttori mainstream e underground che lavorano sul genere senza ancora un sistema che li metta davvero in rete. Il Derry Social Club nasce anche per questo: non per creare una nuova etichetta, ma per riconoscere, valorizzare e mettere a sistema un patrimonio già esistente, affinché il cinema di genere italiano possa finalmente essere letto come un corpo vivo e non come una serie di eccezioni fortunate.

Per il panel a TFI Torino Film Industry che aspettative c’erano?

L’obiettivo del panel “Fantastico Cinema Italiano” era molto chiaro: creare uno spazio di ascolto e di allineamento. Mettere allo stesso tavolo talent, produttori e istituzioni per fotografare lo stato dell’arte del cinema di genere in Italia, senza trionfalismi ma anche senza complessi di inferiorità. Era il debutto pubblico del Derry Social Club, quindi non volevamo “presentare un manifesto”, ma avviare una conversazione credibile in un contesto industriale.

E a posteriori, è stato raggiunto?

Sì, nella misura in cui un panel può essere considerato un successo non per gli applausi ma per le conseguenze. Si sono aperti dialoghi, si sono riconosciute esigenze comuni, sono emerse possibilità concrete di collaborazione futura, dalla formazione ai progetti editoriali e produttivi. Non è un risultato definitivo, ma è un primo passo reale, che era esattamente l’obiettivo.

Il panel diviso per categorie fa pensare a un equilibrio di ruoli: siamo in un momento di accordo?

Siamo in un momento interessante, più che “felice”. Il cinema di genere funziona solo se investimento, talento e contesto istituzionale si parlano. Oggi questo dialogo è possibile, ma non automatico. Serve consapevolezza reciproca: chi investe deve accettare una quota di rischio, chi crea deve pensarsi anche in termini industriali, chi regola deve comprendere le specificità del genere. Il panel ha mostrato che questo allineamento non è un’utopia, ma un lavoro da fare, con pazienza.

In foto a sinistra: on. Federico Mollicone, Marina Chiarelli, Mattia Puleo. In foto a destra: i panelist di “Fantastico cinema italiano!”

Una domanda su pubblico e critica: come vanno i film di genere oggi?

Il genere dialoga molto bene con il pubblico, spesso meglio di altri territori più “prestigiosi”, soprattutto quando trova canali di distribuzione coerenti. Le serie hanno avuto un ruolo enorme nel riavvicinare il grande pubblico al fantastico, basti pensare a “Stranger Things”, che ha dimostrato come il genere possa essere popolare e sofisticato insieme. Al cinema il percorso è più complesso, ma quando il film trova una proposta chiara e una comunicazione onesta, la risposta arriva. Questo è un dato osservabile nei box office e nelle analisi di settore, anche se variabile caso per caso.

Ma è “fantastico cinema italiano”?

La domanda è cruciale. Non si tratta solo di rilanciare un B-movie identitario in senso nostalgico, anche se la tradizione italiana è un patrimonio enorme. La sfida oggi è più ampia: usare il genere per raccontare storie italiane che parlino anche fuori dai confini. Italiano non come etichetta formale, ma come sguardo. In questo senso, il genere diventa uno strumento di internazionalizzazione, non di chiusura.

Quali azioni può fare l’industria per il continuo sviluppo?

Le azioni sono concrete: formazione specifica sul genere, sostegno allo sviluppo, continuità produttiva, spazi di confronto come quelli che il Derry Social Club prova a costruire. Ma soprattutto serve una visione di medio periodo: smettere di considerare il genere come un’eccezione e iniziare a trattarlo come una componente strutturale dell’ecosistema audiovisivo. Questo richiede tempo, fiducia e alleanze. È un processo in corso, non una formula già risolta.

Il giorno in cui, di fronte a un buon film o serie di genere italiano il pubblico smetterà di dire “bello, per essere un film italiano” allora vorrà dire che il cinema fantastico nostrano avrà ritrovato davvero slancio e, soprattutto, un pubblico.

 

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